Il paradosso del blogger di professione

blogSe i blogger debbano/vogliano/possano essere pagati è argomento sempre di grande attualità. Così leggo ieri il post di Domitilla Ferrari e oggi quello di Paolo Ratto e me ne viene in mente un altro, di Gianluca Diegoli, che avanzava un’ipotesi massimalista: i blogger non esistono. All’epoca avevo ripreso il discorso sull’altro blog, ma magari ci torno (e mi scuso se alcuni brani sono presi pari pari da quel post, ma la mia opinione non è cambiata).

Credo che ci sia una grande contraddizione alla base dell’essere blogger.

Il blogger è, nella sua accezione originaria, qualcuno che scrive per sé in uno spazio personale. Questo spazio rimane personale anche se usato a scopi professionali: i blog non sono testate giornalistiche, tranne che pochi fortunati casi non vivono di pubblicità, spesso non sono il mestiere di chi li cura, anche se i temi che trattano sono di carattere professionale. Un blog è uno spazio personale, quindi, (anche) perché, tendenzialmente, non si riceve un compenso per quanto ci si scrive; non solo: le incursioni delle aziende sotto forma di richieste di recensioni, di diffusione di informazioni, di partecipazione ad eventi, hanno mille sfaccettature che ciascuno valuta a suo personale e insindacabile giudizio, come raccontava un paio di giorni fa Garance Doré, qui (questa è la versione in francese, c’è anche l’inglese).

Quindi, punto primo: il blog è sempre uno spazio personale, le cui politiche di pubblicazione dei contenuti, a prescindere dalla fonte, sono del tutto lasciate al libero arbitrio del suo autore.

Un blog è spesso uno strumento di promozione per il blogger, il quale condivide le sue competenze e la sua professionalità, per mostrarle (oltre che a chi è interessato/appassionato della materia) a chi può avere interesse verso la sua persona. Una specie di CV o di portfolio vivente, insomma. Che cosa succede all’idea di “spazio personale” quando le cose stanno così? Niente. Di fatto, quello che fa un blogger è disintermediare l’informazione, che lo faccia per lui o per un brand: se mi sto informando su un prodotto, è assai probabile che prima di andare sul sito ufficiale io mi faccia un giro sui blog delle persone che ne hanno parlato, perché per definizione mi fido di più di un mio pari che di un’azienda. Attenzione, però: bisogna che i blog a cui mi rivolgo siano indipendenti, se no siamo da capo a 12.

Secondo punto: un blog ha un valore nella misura in cui disintermedia l’informazione azienda-consumatore (o, per estensione, head hunter-candidato). Ma per fare questo deve essere indipendente.

Quando le aziende hanno scoperto i blog questi assiomi hanno iniziato a scricchiolare sotto il peso di domande sui massimi sistemi: “Questa cosa mi interessa davvero, ma se faccio un post-marchetta la mia reputazione ne sarà intaccata?” che vuol dire “I miei lettori continueranno a fidarsi di me?”. Dalla mia esperienza, più che di blogger, di lettrice di blogger, mi viene da dire che è un falso problema. Se sei davvero interessato alla cosa di cui stai parlando i tuoi lettori capiranno che la passione che ci metti è sempre la stessa. Quindi vai tra e stai scialla. Altri, invece, intravedono in questo un’opportunità professionale tout court, per cui quello di blogger può diventare un mestiere in sé.

E qui si apre la grande contraddizione: quando il blogger vuole essere riconosciuto professionalmente (che non è il caso di chi si pone le domande di cui sopra), l’equilibrio tra i contenuti “spontanei” verso quello dei contenuti “provocati” si sposta sensibilmente in favore di questi ultimi (parlo a livello globale, non di singolo blog), e viene meno, secondo me, la funzione di disintermediazione. E non perché il singolo blog non sia più indipendente di per sé, ma perché abbiamo di fatto trasformato i blog (l’insieme dei blog) in un ulteriore strumento di intermediazione dell’informazione. Che così diventa un percorso del tipo: brand/azienda-agenzia-blogger-consumatore, dove il blogger e il consumatore non sono necessariamente la stessa cosa.

Da cui il terzo punto, la grande contraddizione: se i blog diventano strumento dell’azienda/brand, si introduce un livello ulteriore di intermediazione, e i blogger si trasformano in PR (aka BraccioArmatoDell’UfficioStampa).
Ma, IMHO, non sono più blogger.

E se invece un blogger scrive qua e là, pagato? (Non entro nel merito del quanto, giustamente posto da Domitilla). Ecco, anche qua: è un creatore di contenuti, se proprio vogliamo dargli un nome.

E dunque: il problema posto da Domitilla (vivere facendo il blogger di professione) viene dopo. Dopo che hai già rinunciato ad essere blogger. Perché, cito Paolo Ratto che cita Dario Salvelli, “essere blogger in Italia ed ovunque tu sia non è uno stato ma al massimo un modo di esprimersi”.

14 risposte a "Il paradosso del blogger di professione"

  1. Interessanti considerazioni!

    Se ci mettiamo in un’ottica estrema, il blogger davvero non esiste. Al limite, è realmente un creatore di contenuti (si spera di qualità!).

    Questo già a priori di qualsiasi considerazione. Perché qualunque blogger desidera avere un pubblico ampio. Per averlo, deve parlare di argomenti che, all’interno della sua nicchia, interessano molti, se non tutti. A questo punto, la spontaneità è andata a ramengo da tempo, perché è stata rimpiazzata dal marketing, dalla SEO ecc.

    1. dipende dal blog, sai. perché noi pensiamo ai blog professionali o a quelli che sono già quasi dei magazine, che magari hanno dato vita a una community, insomma quelli che non puoi neanche più chiamare blog. ma non dimentichiamoci che la stragrande maggioranza dei blog è costituita da diari o poco più. ecco, secondo me il problema sorge nel momento in cui dal diario si passa alla struttura complessa. ha ancora senso chiamarla blog? non credo.

  2. Sottoscrivo ogni parola.E quando un blog fa il salto, è subito evidente, perchè non hai più una finestra sulla vita di qualcuno, ma i posti diventano “come fare”, ecco già i blog orientati ai tutorial per me non sono più blog

    1. conosco più di una persona che a questo punto ti farebbe la pelle, mammadifretta 🙂 però sì, penso anch’io che ci sia un confine, magari sottile, ma c’è

  3. Perché dici: “il blogger è qualcuno che scrive di sé in un suo spazio personale”? Non c’è né nell’etimologia del nome, né nella storia questa accezione. Blog è la contrazione di web-log, significa semplicemente che le informazioni sono archiviate in ordine cronologico anziché con tassonomie diverse. Una percentuale di blogger aveva deciso di utilizzare il proprio blog per scrivere di sé su spazi personali, ma ora questa attività può essere fatta benissimo sui social, senza le rogne le complicazioni e le spese di un blog.
    Anche sul secondo punto, della “disintermediazione”, non concordo. Ogni blogger ha la possibilità di scegliere a chi e come fare pubblicità. Io leggo blog tecnici che ricevono un’auto in prova e dicono che fa schifo, e blog di fotografia o di informatica che criticano pesantemente prodotti che recensiscono. Non ho mai visto fare la stessa cosa in tv o su riviste, sembra che sia sempre tutto fantastico. Rispetto alla tv o alla carta stampata, il blog è sempre enormemente più libero, e quando non lo è si rende ridicolo e non viene più letto.
    E anche sul terzo punto ho un’osservazione 🙂 Per esempio anche scrivere e dipingere sono modi di esprimersi, ma gli splendidi esempi di arte commissionata (da aziende o mecenati), oppure i romanzi d’appendice dell’ottocento, non hanno reso meno pittori i pittori o meno scrittori gli scrittori.
    Blogger IMHO è un artista che scrive utilizzando una nuova forma espressiva, più personale, più diretta e più adatta al web, ma che può senz’altro parlare di argomenti diversi senza snaturarsi.

    1. mi piace molto l’idea del blogger come artista, la trovo veramente poetica. cerco di risponderti punto per punto.
      al di là del contenuto – che può essere un diario (ce ne sono un sacco) o tecnico – il blog è comunque uno spazio in cui ciascuno è editore di se stesso e questo è sufficiente a farne uno spazio personale (diversamente da una testata giornalistica in cui c’è un editore che detta una linea).
      in questo senso l’informazione che arriva da un blog non è quella premasticata dai vari uffici stampa e compagnia bella. come dici tu, c’è un prodotto, lo provo, ne scrivo, nel bene e nel male.
      in assoluto non mi dà alcun fastidio il fatto che si possa scrivere dietro prebende più o meno laute; tuttavia in questo modo i contenuti saranno per forza ad un gradino più basso della catena alimentare delle aziende. e infatti per me non è il singolo blog a porre il problema (qui è molto semplice, se mi piace lo leggo, se no ciao ciao), ma l’insieme dei blog, l’intero sistema, nel momento in cui si fa imboccare l’informazione.
      questo non intacca necessariamente la qualità dell’informazione (la cappella sistina rimane la cosa più bella del mondo), ma secondo me snatura il canale, rendendolo di fatto un canale alternativo ma parallelo a quello dei magazine.
      poi credo anche che un’evoluzione in questo senso sia assolutamente lecita. però allora perché chiamarsi blogger? o dobbiamo considerarlo solo un termine derivante dalla piattaforma su cui opera la persona che?

      1. Ma dire che blog è solo uno strumento e blogger è solo chi lo usa, poi sta a lui la qualita’, così come i giornalisti hanno tutti un tesserino, ma poi c’è giornalismo d’inchiesta e novella 2000, è…troppo banalizzante?

      2. Non so. In realtà credo che la tecnologia non spieghi che cosa è cosa, o meglio, che non sia sufficiente a spiegare. Ad esempio, giallozafferano e genitoricrescono sono blog? Direi proprio di no (e anche i loro autori/editori non lo direbbero) anche se usano una piattaforma nata per il blogging…

  4. Hai reso bene l’idea di quello che ci si aspetta da un blog, troppo spesso infatti si finisce su blog scritti da persone con l’unico intento di ricevere inviti per eventi, o altri che cercano omaggi o sponsor a tutti i costi. Il bello dei blog a mio parere è la spontaneità, anche per quelli professionali. Si può infatti parlare del proprio lavoro con passione e condividere informazioni, se invece si diventa troppo autoreferenziali non c’è differenza con un sito istituzionale.

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