Adoro insegnare. Lo faccio meno di quanto vorrei, ma ogni volta è un piacere. Soprattutto quando ho a che fare con giovani – che stanno per laurearsi, appena laureati, ecco.
Dopo anni di assenza dalla cattedra in cui parlavo di altre cose, adesso mi capita sempre più spesso di insegnare i Social Media. Che detto così è proprio brutto, ma risponde più o meno a quello che faccio: non insegno ad usarli (a schiacciare i bottoni) ma proprio cosa sono, perché usarli, come lavorano nella comunicazione d’impresa nel suo complesso.
E da qualche tempo inizio a raccontare i social partendo dalle basi, dalle teorie della comunicazione, da Shannon e Weaver, Jakobson, Watzlavick e tutta questa bella gente qua.
“Mi sfugge il nesso”, mi dice Alice, studentessa assai sveglia e sempre pronta a farsi venire dei dubbi – adoro chi fa domande, lo preferisco decisamente a chi pretende di avere tutte le risposte.
Ed ecco il nesso.
Qualche strana perversione del mercato ci ha abituato a pensare al social come a qualcosa “al di sopra” della comunicazione. Ci siamo riempiti la bocca di come fosse nuovo, necessario, cool. E di come il social fosse “il superamento”.
Col cavolo. Non si dà social senza una solida cultura digitale. Non si da cultura digitale senza una solida cultura di comunicazione (a meno che uno non faccia lo sviluppatore, e allora anche lui avrà la sua granitica cultura digitale, ma tutta di un altro segno). I peggiori fail succedono perché chi fa social non ha studiato comunicazione: intesa come basi, come disciplina, come Shannon e Weaver, Jakobson, Watzlavick e tutta questa bella gente qua. Gente che ha detto come funzionano nella testa delle persone gli oggetti come Facebook e Twitter e Pinterest molto prima che Facebook e Twitter e Pinterest vedessero la luce.
Non solo. Se non conosciamo le basi della comunicazione ci mancheranno le categorie di pensiero, ci mancheranno le parole, per distinguere ad un livello più alto la comunicazione di una merendina da quella di un politico in campagna elettorale. Per distinguere, analizzare, comprendere e progettare – una presenza social sensata. Se conosco la differenza tra un atto illocutorio e uno perlocutorio il mio orizzonte si allargherà, e di colpo capirò la differenza tra Grillo e Renzi, per dire.
Ed ecco una sintesi delle mie lezioni su questo tema (il grosso, è chiaro, va fatto a voce). Naturalmente il tutto è infarcito di esempi ed esercitazioni dal vivo. È il vantaggio dei social.
Fatemi sapere se anche a voi come ad Alice sfugge il nesso o se lo avete trovato.
Interessante 🙂
grazie!
Leggendo quanto hai scritto mi sono resa conto di non sapere nulla. Nonostante sia laureata, nonostante abbia studiato tanto (e abbia un blog)
Ma non ci sarebbe modo di imparare almeno 1 centesimo di tutto questo? … che ne so: un Bignami della Comunicazione? O un libro “basic”?
ciao Giuliana! ci sono moltissimi libri sulla/sulle teorie della comunicazione, ma onestamente non saprei dirti se esiste un bignami. o meglio, sospetto che molti lo siano, nella sostanza. credo che la soluzione sia passare un paio d’ore in libreria a sfogliarseli uno ad uno 🙂