Laura, Guido e i guerrieri di cartoncino

– Prof
– Giuliana
– Giuliana
– Sì
– Guarda Twitter. Sta succedendo un casino. Una campagna di boicottaggio contro la Barilla. È già trending topic…
(Hanno imparato, i ragazzi, brava me.)

Il rientro in aula dopo la pausa è un po’ così, eccitato. Faccio l’unica cosa possibile: chiudo le slide, apro Twitter, cerco l’hashtag. Il secondo della giornata, giacché stamattina abbiamo dedicato del tempo al crashtag #guerrieri. Commenti, incredulità, rimettiamoci al lavoro ma monitoriamo la cosa perché anche questo è lavoro, anzi, questo sì che è lavoro vero, cari i miei studenti di Social Media per la Comunicazione d’Impresa (con tutte le maiuscole).

Ho ascoltato l’audio integrale dell’intervista di Cruciani a Guido Barilla parecchio più tardi, dal treno. E non ci credevo.
– Devi sentire il tono con cui lo diceva.
Mi faceva il collega con cui commentavamo la cosa al telefono.
Il tono.
Premetto che ho trovato assai sgradevoli, prima ancora della questione dei gay, le osservazioni sull’intervento di Laura Boldrini a proposito del ruolo della donna nella pubblicità.

“Che cosa ne capisce lei di pubblicità?”.

Come si permette, signor Barilla. La presidente della Camera non sarà una professionista di pubblicità ma ne capisce di donne e di società e di ruolo culturale della comunicazione. Signor Barilla, un bambino che vede in tv sempre e soltanto una mamma a servire, cucinare, accudire, mentre padre e figli se ne stanno spaparanzati sul divano a giocare, come vuole che accetti che la sua, di mamma, gli dica che preparare la tavola è un suo compito, e che a casa si deve collaborare tutti, vedi che papà cucina sempre quando c’è (quando c’è, vabbè, i miracoli non si possono fare). Come fa una mamma a educare al rispetto (di se stesso e degli altri, delle altre) se l’unico modo per vendere una macchina è riempirla di gnocca. Signor Barilla, le dirò di più, io non ci credo neanche un po’ a quello che lei ha detto a Cruciani, che sua moglie la mattina si alza, prepara e serve la colazione, e poi va al lavoro.

(Una domanda prima che mi dimentichi: ma perché è andato da Cruciani, proprio lei che a quanto pare le provocazioni le raccoglie e con gusto, anche).

Poi la storia delle famiglie gay.
Un discorso, attenzione, che ci sta tutto se parliamo di posizionamento di comunicazione di Barilla. Se ne parliamo in riunione, lei, signor Guido Barilla, e lo strategic planner dell’agenzia di pubblicità. Ci sta tanto che al massimo ci facciamo la battutina, ma non se la prende nessuno. Perché in fondo la casa più patinata e inarrivabile, la famiglia più perfetta e impossibile d’Italia portano la firma Barilla. E nessuno si aspetta che la stessa Barilla ci mostri un giorno Ugo e Aldo che si fanno le coccole davanti a un piatto di spaghetti.
Ma santo cielo, non può farne una questione ideologica. Ha confuso un posizionamento di comunicazione con una posizione politica (politica nel senso più alto, di arte di governare la Polis), trasferendo sulla sua azienda una sua personale visione del mondo. Per fortuna nessuna testa potrà saltare, a questo giro. Nessuna delle meravigliose teste che lavorano per lei, che conosco e stimo profondamente.

Tutte le settimane, alla fine dell’ultima lezione, chiedo ai miei studenti che cosa si portano a casa. Questa settimana sono io che mi porto a casa qualcosa. Un senso di profonda delusione. Perché quello che ieri ho portato ad esempio di imprenditore illuminato, che sa fare comunicazione come pochi altri in Italia, oggi mi ha smentito in un modo così clamoroso, indifendibile.
L’altra cosa che mi porto a casa è che la comunicazione continua ad essere un Far West fatto di gente che non vede oltre il suo naso, l’headline “impattante” e la tetta da acchiappo come unica alternativa alla mamma-badante. Perché un vero comunicatore dovrebbe sapere che la comunicazione ha una grandissima responsabilità nella creazione e nel mantenimento del sentire di un Paese, della sua cultura e delle sue categorie di pensiero. E questo vale sempre, anche quando parliamo di donne, di bambini, di gay. Comunicatori guerrieri? Forse, ma di cartoncino.

Qui l’audio integrale dell’intervista

Update. Flavia mi chiede, nei commenti, di dire cosa ne penso del boicottaggio. Mi sembra giusto.

Io ai boicottaggi non credo, e in questo caso mi sembra proprio una cosa ancora più assurda del solito. Il grande capo di una grande azienda esprime una sua opinione personale (pessima, nel modo e nei tempi sbagliati, tutto quello che vogliamo): non è sufficiente per voler punire l’intera azienda, le persone che vi lavorano. In realtà sono pronta a scommettere che le vendite di Barilla non si sposteranno di una virgola. Perché pur ammettendo per assurdo che il boicottaggio funzioni, dobbiamo ipotizzare che per tante persone che smettono di acquistare Barilla ce ne saranno altrettante che inizieranno a farlo, per il solo gusto di manifestare il loro consenso verso quello che ha detto Guido Barilla. Ma siccome non funziona così, rimarrà tutto come prima.

22 risposte a "Laura, Guido e i guerrieri di cartoncino"

    1. Manu, tu sai cosa ne penso dei boicottaggi, e questa volta non fa eccezione. Non credo che un boicottaggio possa risolvere una questione come questa, che, oltretutto, è personale molto più che aziendale. Ti dirò di più: non credo che un boicottaggio sia una mossa sensata perché, ammesso che davvero i consumi fossero dettati da questioni ideologiche, per tante persone che decidono di non comprare più ce ne sono altrettante che decidono di comprare – perché sono d’accordo.
      Lasciamo in pace chi lavora in Barilla, che non c’entra con questa visione del mondo.

  1. Grazie. D’altro canto so anche come la pensi di solito sui boicottaggi. Aggiungi anche qualcosa su quello? perché così facendo (incitando al boycott a ogni scorreggia) si aggrava l’errore della confusione positioning/politica, brand e individuo (imprenditore), imprenditore e suoi lavoratori che invece meritano rispetto.

    1. non ne ho parlato perché stavo dicendo troppe cose, ma hai ragione, Flavia, scrivo un update. Su quello che penso (che tu sai ma gli altri no) ho scritto sopra. Grazie della segnalazione

  2. Totalmente d’accordo. Quando ho letto stralci della conversazione sono andata ad ascoltarmi la trasmissione ed è stato anche peggio. Spocchia. Superiorità. Sciovinismo.
    Che tristezza, che delusione.

    1. già. credo che se non avessi ascoltato tutta l’intervista non avrei detto – scritto – niente, in fondo c’era già twitter che esagerava. ma dopo averla sentita, beh, non ho potuto fare a meno di dire quello che penso.

  3. Mi permetto di rispondere alle domande retoriche contenute nell’articolo, anche se evidentemente non sono il Signor Barilla.

    Le domande in questione sono le seguenti:
    “Signor Barilla, un bambino che vede in tv sempre e soltanto una mamma a servire, cucinare, accudire, mentre padre e figli se ne stanno spaparanzati sul divano a giocare, come vuole che accetti che la sua, di mamma, gli dica che preparare la tavola è un suo compito, e che a casa si deve collaborare tutti, vedi che papà cucina sempre quando c’è (quando c’è, vabbè, i miracoli non si possono fare). Come fa una mamma a educare al rispetto (di se stesso e degli altri, delle altre) se l’unico modo per vendere una macchina è riempirla di gnocca. ”

    Facendo vedere ai figli meno televisione. Non lasciandoli soli davanti alla televisione. Facendo loro vedere i cartoni animati scaricandoli dal web e non esponendoli, fin dalla tenera età, ad un bombardamento pubblicitario.

    Ecco come.

    Penso sarebbe più responsabile evitare di continuare a parlare della televisione come “cattiva maestra” ed iniziare a parlare di chi lascia davanti alla televisione i propri figli, senza difese e senza strumenti per decodificare e interpretare quello che vedono.

    1. Gabriele, mi permetto di dissentire: per insegnare ai figli che la cura della casa non spetta alla donna, ma a tutta la famiglia, bisogna semplicemente dare l’esempio. Non basta spegnere la TV, se poi il papà sta davanti al PC o non sa nemmeno cuocere un uovo.

  4. a Gabriele, sopra. Non lasciare un bambino davanti alla tv da solo è, spero, quello che fa ogni genitore con un po’ di senso. tuttavia nessun bambino è un’isola: vanno a scuola, frequentano amici, case, famiglie che non sono solo la loro. Perciò non funziona. La società è un sistema, Gabriele. Puoi decidere di isolartene finché vuoi, ma la verità è che essa ti raggiungerà dappertutto, con le sue storture, i suoi nani e le sue ballerine.

  5. Grazie per avermi definito collega 😉
    Come spesso accade siamo d’accordo sul senso della parola Comunicazione. Che è fatta si di contenuti, ci mancherebbe, ma il “tone of voice” ha il suo perchè e questa volta ha fatto la differenza.
    Ha trasformato la distanza pubblicitaria in disprezzo personale e per questo andava “punito”.
    E’ stato punito.
    Io non mi stupisco tanto del fatto che abbia detto quelle cose, viva la democrazia, ma che abbia accettato di partecipare a quella trasmissione.
    Nella posizione che occupi ci vai mooooolto preparato o eviti. E la domanda era tanto ovvia quanto attuale e prevedibile.
    Ci vai preparato per responsabilità nei confronti delle migliaia di persone che ogni giorno lavorano per te.
    Detto ciò mi chiedo veramente se tutti quelli che hanno urlato il loro sdegno lo sono per davvero o semplicemente sono incazzati per quello che viviamo tutti i giorni (io lo sono molto come sai) e colgono queste occasioni per menare le mani e sfogarsi un poco, a prescindere.
    Un ultimo pensiero riguarda la Lobby Gay… inizio a pensare che esista, spero che presto si crei anche una Lobby Verde, ecumenica quanto basta, per destra e sinistra, etero e omo, juventini e interisti.
    Ciao.

    1. già, le lobby. secondo me in Italia non ce la si fa – ci si aggrega attorno ad un tema emergente come in questo caso e poi chi si è visto si è visto, pensiamo ai partiti. grazie, collega 😉 se non avessi parlato con te non sarei riuscita a focalizzare questa cosa

  6. Personalmente considero offensive le pubblicità barilla e di altri colleghi “alimentari” e di detersivi, già da un pò. La pubblicità, dicono, dovrebbe motivarci a comprare un prodotto per raggiungere quel modello della pubblicità stesso. Ebbene, io considero le pubblicità Barilla ( ma anche dei prodotti per l’igiene della casa) offensive, profondamente offensive per me.
    Dovrei aspirare a un modello a me familiare, che si ispira a una realtà auspicabile, che dovrei raggiungere acquistando un pacco di pasta? Bene, ma quale realtà familiare di ispirazione dovrebbe inculcarmi la Barilla? quella di una famiglia con giovani genitori radical-chic, con figli che hanno la metà dei loro anni, anche loro radical chic, che vivono tutti allegramente in una casa grande, spaziosa e alla moda? Ma stiamo scherzando? Chi di noi può permettersi di essere genitore giovane? chi di noi ha una casa? Ecco, questo mi da, da profana del settore, profondamente fastidio.
    Guido Barilla dice di voler presentare la famiglia tradizione, ebbene, mi chiedo, quella sopra descritta è una famiglia tradizionale, attuale? penso proprio di no.
    Tanto più che quelle immagini stridono fortemente tra loro: una famigliola all’avanguardia ma la mamma serve la pasta. Il dogma della donna/mamma e tutto ciò che appartiene alla casa, sta a lei, solo a lei. Non al suo prestante marito (complimenti!).
    Da un imprenditore che si accontenta di una pubblicità preconfezionata su base di racconto fiabesco non mi aspetto molto, soprattutto perché, caro Barilla, la famiglia tradizionale, no, non è affatto quella lì!

  7. Giuliana, si è scusato su quella caduta di stile, ma lui e i suoi sodali, strategic planner inclusi, riusciranno mai a non essere offensivi anche per come la intendo io? Cioè, al nocciolo della questione, riusciranno mai a fare pubblicità con gente normale come protagonista, senza farle sembrare una presa in giro? Vedremo mai una pubblicità fuori dai soliti luoghi comuni?
    (mamma-giovane-sprint-angelo del focolare/ papà-figo-giovane-premuroso)

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