Il Freelancecamp di Marina Romea è per me un appuntamento sacro. Perché si incontra e si conosce gente strainteressante, perché si imparano cose strainteressanti, perché ci si porta a casa un sacco di energia. E poi quest’anno ho fatto anch’io uno speech.

Sono freelance per scelta. L’ho sempre dichiarato, ma ne ho avuto la schiacciante conferma quando un cliente che mi proponeva una collaborazione lunga mi ha detto che avrebbe preferito assumermi e io mi sono sentita rispondere “No, grazie. Facciamo che rimaniamo sulla collaborazione”. E collaborazione fu.

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Ho parlato di questo. Di questo essere freelance ma non farlo, perché alla fine tutti i giorni (o quasi) prendo la metropolitana e vado nello stesso ufficio, alla stessa scrivania, eccetera.

Ho raccontato molte domande e assai poche risposte, nessuna ricetta ma uno spunto e anche un po’ un amo per capire se ci sono altri come me e come la gestiscono.

Ho scoperto che sì, ci sono altri come me e come me la gestiscono navigando a vista, rimandando le decisioni troppo drastiche ma alla fine concordando su un punto: questa cosa si può fare se si sposa il progetto del posto in cui (per cui) si lavora. Considerando che un freelance mediamente sposa solo i suoi, di progetti, può essere una cosa complicatissima. Ma se non si fa non si sopravvive: meglio mollare.

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Paradossalmente un dipendente ha tutto il diritto di lamentarsi – anzi, un dipendente che si lamenta della sua azienda è l’assoluta normalità. Ma uno come me, che lavora in azienda, coordina delle persone, ma domani può serenamente essere lasciato a casa (o non presentarsi, ovvio), uno come me può lamentarsi a patto di farlo perché veramente soffre a vedere che le cose non vanno come dovrebbero. Insomma, se alla fine ha indossato la maglietta. Se no si muore.

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Tutte queste cose dette al mare le trovate in questa pagina bellissima, che ha il grande vantaggio di portarvi facilmente anche alle pagine di tutti gli altri interessantissimi interventi. Buon ascolto.

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